
- by admin
- 30 Maggio 2015
Il sorriso, spontaneo e sempre presente sul mio volto, mi ha quotidianamente accompagnato nei lunghi mesi delle cure e probabilmente ha contribuito al buon esito delle terapie. Il sorriso mi dava forza, per affrontare meglio e con rinnovata tenacia l’inizio di ogni nuovo ciclo di chemio, e sono stati davvero tanti.
Ma lo stesso sorriso ha generato fraintendimenti nelle persone che, almeno così immaginavo, avrebbero dovuto essere vicine nell’avventura. E così è capitato per caso che sentissi la frase pronunciata da un amico, pensando di non essere sentito, a mia moglie in cucina, “Ma tuo marito ha capito che cos’ha?”; oppure un’altra frase, diventata storica, pronunciata da mia cognata “Ma dai, la tua malattia in fondo non è nulla di grave!” confrontando il mio percorso con quello di un altro malato; o quella di un collega che al termine di un incontro di lavoro, uscendo commentò con un altro collega “Chissà se lo vedremo ancora…”; e ancora le visite di cortesia alla fine del mese di luglio prima di partire per le vacanze, giusto per sentirsi a posto con la coscienza; le solo 6 visite ricevute dai familiari durante gli innumerevoli ricoveri che ogni 30 giorni me ne facevano trascorre 10 o 15 in ospedale o la solita frase di chi non trovava la forza di venirmi a trovare “Non ce la faccio a vederti in quello stato” ma Dio solo sa quanto ne avessi bisogno. Quante umiliazioni da sopportare oltre a quella che già la malattia aveva portato con sé, probabilmente anche per quel sorriso permanente che offuscava la realtà.
Ma la sofferenza più grande era guardare negli occhi Anna, mia moglie, che malgrado tutto doveva tirare avanti. Occhi che di fronte a frasi stupide avrebbe voluto piangere, occhi che avrebbero voluto vedere amici e familiari più vicini alla nostra sofferenza e soprattutto in modo diverso, occhi che incontrando quelli di mia figlia Alessia, nata da poco, faticavano a sorridere pensando al futuro, occhi che avrebbero voluto riempirsi di lacrime di gioia se qualcuno avesse condiviso con lei, a casa sua e non tra un’ospitata e l’altra, i tantissimi e lunghi giorni in cui ero ricoverato. Un lavoro con orari difficili, una bambina piccola, il nido, un marito con il cancro, una famiglia che nella buona fede crede di aiutarti ma in realtà lo fa poco e male, e così capitava di frequente che fossimo noi due, insieme a nostra filgia, abbracciandoci con un sorriso, a trovare le energie necessarie per affrontare il giorno successivo, in attesa che l’avventura finisse. E finì. Tramutandosi in tante cose belle, così come scrive Anna nella poesia in apertura di questo calendario. Anna, una donna che ha dovuto sperimentare molto nella vita, troppo a volte, e per questo frequentemente non viene compresa proprio da quelle persone che avrebbero dovuto sostenerla nella difficoltà e oggi la vedono “diversa”. Passo gran parte della mia vita a confrontarmi con il mondo scientifico, con l’evidenza, con le misurazioni, ma alla fine credo che l’amore possa fare di più e meglio, e mia moglie Anna è la prova provata di quanto dico. Infine riguardo al sorriso… il sorriso ha fatto avvicinare anche persone capaci di comprenderlo. Il sorriso è servito ad affrontare più serenamente la malattia e, se mi dovesse ricapitare un’esperienza simile, lo adotterei ancora in tutto e per tutto.