- by Martino Micheli
- 7 Ottobre 2021
I linfomi sono suddivisi in due grandi categorie: linfomi di Hodgkin e linfomi non Hodgkin. I linfomi non Hodgkin a loro volta possono essere distinti in base al tipo di linfociti che danno origine al linfoma: linfociti B (a cellule B) e linfociti T (a cellule T).
I linfomi a cellule T sono relativamente rari, rappresentano infatti il 10-15% di tutti i linfomi non-Hodgkin, che a loro volta rappresentano circa il 4% di tutte le neoplasie in Italia. Si tratta di un gruppo di disordini neoplastici altamente eterogeneo; l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce infatti circa 30 differenti sottotipi, detti istotipi. Ognuno di questi differisce per caratteristiche del tessuto tumorale, presentazione clinica, risposta alle terapie e prognosi.
Il linfoma a cellule T più diffuso (circa il 30%) è quello definito a cellule T periferiche non altrimenti specificato (PTCL, NOS). Seguono il linfoma anaplastico ALK negativo o ALK positivo (cosiddetto per l’assenza o presenza della proteina ALK), il linfoma angioimmunoblastico, il linfoma nasale extranodale a cellule NK/T. Il linfoma a cellule T dell’adulto, epatosplenico e altri sottotipi sono ancor più rari.
Proprio dalla rarità ed eterogeneità dei linfomi a cellule T derivano alcune difficoltà. La prima è quella di porre una diagnosi accurata, al fine di poter scegliere il trattamento adeguato. Il percorso terapeutico può infatti essere differente a seconda dell’istotipo diagnosticato e dello stadio della malattia. Inoltre, nessun singolo centro di oncologia o ematologia al mondo ha in cura un numero elevato di pazienti con questa diagnosi: questa è stata la principale limitazione alla comprensione di questa patologia e al progresso nella cura dei pazienti.
Nonostante ciò, negli ultimi anni si sono registrati importanti progressi.
Innanzitutto, l’OMS ha aggiornato la classificazione dei linfomi a cellule T, definendo con maggiore precisione le caratteristiche identificative di alcune categorie. La corretta applicazione dei più recenti principi classificativi, pertanto, si traduce in diagnosi sempre più accurate. Inoltre, il patologo di riferimento che effettua la diagnosi, in caso di dubbi sull’interpretazione del vetrino, può richiedere la revisione da parte di un secondo patologo, specializzato nella diagnosi delle patologie linfoproliferative.
In aggiunta, negli ultimi anni sono state stabilite con successo delle collaborazioni internazionali, grazie alle quali, anche per patologie rare come i linfomi T, è diventato possibile condurre uno studio, raccogliere dati e ricavare informazioni precedentemente sconosciute. La collaborazione di molti centri onco-ematologici nel mondo sta infatti contribuendo in modo significativo a definire meglio le caratteristiche dei diversi sottotipi e la loro prognosi, a migliorare la conoscenza di quei fattori che influenzano la prognosi, a indagare sulle strategie di trattamento più adeguate a queste neoplasie.
La collaborazione e la condivisione risultano perciò di fondamentale importanza per far avanzare la ricerca e garantire ai pazienti che ricevono questa diagnosi cure sempre migliori.