La proposta terapeutica
Dopo la raccolta di informazioni sulla storia medica (anamnesi), dopo la visita, la conferma della diagnosi e la stadiazione, prendendo in considerazione tutti i parametri sopra illustrati, il medico sceglie farmaci e dosaggi, combina strumenti terapeutici (immunoterapia, chemioterapia, radioterapia), decide il numero di cicli, la loro cadenza e infine formula una “proposta terapeutica”. Prima di iniziare qualsiasi terapia, il medico è tenuto a illustrare il programma individuato e a rispondere alle domande che ne potrebbero derivare circa la durata, la modalità di svolgimento, e soprattutto gli effetti collaterali.
Terapia
Gli strumenti terapeutici nel trattamento dei linfomi sono la chemio-immunoterapia, la radioterapia e in alcuni casi il trapianto di midollo osseo. Il tipo di terapia dipende principalmente dal tipo di linfoma e dalle sue caratteristiche, dall’età del paziente, dalle sue condizioni di salute generale e da quelli che vengono chiamati fattori prognostici. Prognosi (dal greco pro-gnosis – conoscere prima) è il giudizio formulato dal medico, il quale, tenendo conto della diagnosi, del paziente e delle terapie, si esprime sul possibile andamento della malattia. I fattori prognostici sono elementi che possono orientare questo giudizio e di conseguenza la terapia da attuare. Per quello che concerne i linfomi sono considerati fattori prognostici: l’eta, il sesso, lo stadio, alcune sedi di malattia e alcuni esami di laboratorio.
Di solito la chemioterapia prevede l’utilizzo di più farmaci contemporaneamente, combinati tra loro secondo “schemi” di terapia. Questo perché le molecole usate hanno meccanismi d’azione diversi, perciò permettono di colpire in maniera differenziata il tumore, agendo anche su cellule che possono aver acquisito resistenza. La terapia può essere somministrata in uno o più giorni, per via endovenosa o per via orale. Nella maggior parte dei casi l’infusione avviene in regime di Day Hospital, mentre a volte, in casi selezionati, può richiedere un breve periodo di ricovero. Dopo la somministrazione di un ciclo è previsto un periodo senza trattamento prima del ciclo successivo. Quest’arco di tempo varia nei diversi schemi ed è necessario al fisico per superare la tossicità del trattamento ma che non lascia alle cellule neoplastiche di ripartire. Alcuni dei farmaci utilizzati nel trattamento dei linfomi sono: ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, prednisone, fludarabina, citarabina, clorambucile, metotraxate, etoposide, desametasone, cisplatino, carboplatino, bleomicina, bendamustina, gemcitabina. Nei linfomi non Hodgkin lo schema più frequentemente utilizzato si chiama CHOP (ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, prednisone). Nei linfomi di Hodgkin invece lo schema più utilizzato si chiama ABVD (adriamicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina). L’immunoterapia, o terapia con farmaci biologici, è un approccio terapeutico che si avvale di molecole appositamente studiate per identificare un preciso bersaglio, presente nella cellula tumorale o sulla sua superficie. A questa categoria appartengono gli anticorpi monoclonali, gli anticorpi monoclonali coniugati, i farmaci antiangiogenetici, gli immunomodulatori, gli inibitori tirosin-kinasici ed altri ancora. La specialità di questi farmaci è la capacità di agire sul loro bersaglio e quindi solo sulle cellule che lo esprimono, risparmiando quelle che ne sono prive. Queste terapie sono di solito molto ben tollerate, perché prive di effetti collaterali importanti. Il rituximab è un anticorpo monoclonale che riconosce una particella proteica, chiamata CD20, presente sulle cellule di tipo B. E’ usato in combinazione con la chemioterapia nei linfomi non-Hodgkin, del tipo B, sia indolenti che aggressivi. L’Ibritumomab (Zevalin) è un anticorpo monoclonale simile al rituximab, quindi il bersaglio è sempre il CD20. In questo caso però la molecola è legata ad una particella radioattiva, tossica, che grazie all’anticorpo raggiunge, penetra e uccide la cellula bersaglio. E’ utilizzato nei linfomi non Hodgkin di tipo B. Brentuximab Vedotin è un nuovo anticorpo monoclonale, detto “coniugato”, perché legato insieme ad una potente tossina. Riconosce le cellule che esprimono la proteina CD30, normalmente presente sulle cellule di Reed-Sternberg del linfoma di Hodgkin. Si lega alla cellula, passa al suo interno, libera la tossina e la cellula viene distrutta. La radioterapia è una modalità di trattamento che utilizza radiazioni ad alta energia per uccidere le cellule tumorali. E’ di solito un trattamento locale, diretto cioè all’area coinvolta dal linfoma; il campo da irradiare viene definito caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche del paziente, della malattia, della sua localizzazione, dei trattamenti già effettuati o da effettuare. Il campo da trattare viene marcato con un tatuaggio che sarà il punto di repere. Il trattamento di solito dura pochi minuti che si ripetono tutti i giorni, per qualche settimana, a seconda del dosaggio di radiazione programmato.
Il trapianto di midollo osseo è una delle risorse terapeutiche per la cura di linfomi che non rispondo bene alla chemioterapia effettuata in prima battuta o di linfomi che “recidivano”, cioè che ricompaiono dopo la terapia. Consiste nel ripopolare il midollo osseo che da origine alle cellule del sangue distrutte da una terapia ad alte dosi. Esistono due tipi di trapianto diversi per l’origine delle cellule staminali utilizzate. Nel trapianto di tipo autologo le cellule staminali appartengono al soggetto stesso che le riceve, vengono prelevate dal suo sangue (aferesi) e reinfuse al momento opportuno. Nel trapianto allogenico invece le cellule staminali derivano da un donatore compatibile. In entrambi i casi la tossicità del trattamento che precede il trapianto è elevata e richiede un periodo di ricovero in camera sterile.